I - 1977
(CAR)
Moribund the burgermeister - Solsbury hill - Modern love - Excuse me - Humdrum - Slowburn - Waiting for the big one - Down the dolce vita - Here comes the flood
La notizia che annunciò al mondo la decisione da parte di Peter
Gabriel di abbandonare i Genesis giunse nell'Agosto del 1975 e, nonostante le
numerose distrazioni subite durante il completamento di The Lamb Lies Down on Broadway la lasciassero ben presagire,
all'epoca buona parte della stampa specializzata addusse a sua causa ragioni
tra le piu' amene, talvolta sconfinando in critiche gratuite e ingenerose. Oggi, a bocce ferme, si può
invece serenamente
concludere che le ragioni che Gabriel stesso ebbe a fornire furono sincere [08];
esse erano sopra tutto, come già si sapeva, motivate dal desiderio di dedicarsi a
studi e composizioni di più ampio respiro, ed in secondo luogo dal
bisogno di riprendere contatto con la sua sfera familiare [12]
[15]
[18].
Il lungo, lunghissimo tempo
di silenzio che seguì la sua defezione fu più d'ogni altra cosa una
efficace ed implicita smentita di chi accusava l'ex cantante dei Genesis
di voler sfruttare l'onda del successo: i Genesis fecero in
tempo a pubblicare sia A Trick of the Tail sia Wind & Wuthering mentre
il suo primo album come solista rimaneva ancora allo stadio di progetto.
Di fatto, i rinnovi del contratto con la Charisma propostigli nel tempo da Tony Stratton-Smith furono
un puro atto di fiducia in quanto Peter Gabriel non aveva assolutamente
nulla di pronto [12].
Ma, infine, il suo album d'esordio vede la luce nel Febbraio del 1977, anonimo
(o quasi) come tutti quelli destinati a seguirlo. Peter Gabriel
appare in copertina in una semplice fotografia, privo del trucco e dei
paludamenti che caratterizzarono il suo periodo di militanza nei
Genesis. Altro sintomo della volontà di stacco col passato è la
scelta del produttore: Bob Ezrin, già attivo con metal-band
del livello dei Kiss e di Alice Cooper; una scelta che può sembrare
azzardata ma che invece portò rigore e disciplina nello studio di registrazione
[18].
Il nome più vistoso - ed in grado di suscitare le più alte
aspettative al solo sentirlo pronunciare - è comunque quello del King Crimson Robert
Fripp, ospite alle chitarre. Purtroppo, neppure la sua
presenza riesce a sollevare questo attesissimo album dalla sensazione di incompiutezza e
grave disomogeneità che lo caratterizza. Se da un lato esso
contiene quattro brani immortali (come Solsbury Hill - forse il più celebre in assoluto
di Gabriel, spesso letto come un affettuoso messaggio di saluto ai Genesis che
gli dedicano le ultime strofe di Los Endos - e Here Comes the Flood,
raffinate ballate come Humdrum o sofisticati temi post-progressìvi come
Moribund the Burgermeister) per il resto è formato da pezzi discontinui e
raffazzonati (come l'inutile blues di Waiting for the Big One o
l'imbarazzante charleston/cabaret di Excuse Me) più altri insipidi brani
di rock veramente dozzinale.
Insomma, un album assai deludente salvo alcuni isolati picchi
di pura genialità, che ci presenta un Gabriel ancora indeciso,
ancora bisognoso di prendere bene la mira, non ancora pronto a divenire
l'acclamato artista internazionale che sarà entro breve.