by topografico » 28 Aug 2008, 06:30
Trent'anni e cinque giorni fa ho visto il mio primo concerto di Gabriel solista. E' stato fantastico esserci, ma è anche bello essere ancora qui a ricordarlo.
Posto la storia che ho trovato sul defunto blog di Fabio Zama. Sono certo che non se ne avrà a male.
Buona lettura.
1978, 23 agosto. Oxford, New Theatre, Oxford
"C'era un annuncio sul giornale…".
Si, c'era un annuncio da sobbalzo sul giornale. Lo lessi una mattina mentre camminavo sul lungomare di Eastbourne. Era agosto e tirava un bel vento. Una giornata perfetta. "Peter Gabriel, secret dates", diceva quello che poteva essere il Melody Maker o il Nme, raccontando che PG avrebbe suonato il 23, 24 e 25 del mese a Oxford, Derby e Lancaster, per una sorta di minitour di riscaldamento prima dei festival di settembre. Il secondo disco solista dell'ex cantante dei Genesis era uscito a fine giugno, non aveva titolo ed era stato salutato da tiepide recensioni in un clima di consenso inferiore alle attese. Ora bisognava portare il lavoro in giro per il mondo per imporlo ad un pubblico non ancora consapevole del Nuovo Peter Gabriel. "Scratches", come lo chiamano gli anglosassoni, sarebbe rimasto in tour sino a Natale.
. Avevo diciassette anni appena compiuti ed ero nel bel mezzo di un corso d'inglese di tre settimane sulla costa del Downs. Il portafoglio era magro, ma l'occasione imperdibile. Scartai Derby e Lancaster (troppo lontane!) e puntai su Oxford, duecento chilometri da dove mi trovavo. In treno sarebbe stato troppo costoso e lungo. Serviva un passaggio e spuntò Penny. Era una delle insegnanti d'inglese, parlava anche un buon italiano. Aveva qualche anno più di me, amava Gabriel e i Genesis. Non se lo fece dire due volte.
Partimmo il ventitré mattina di buon ora a bordo di una mini caffellatte, con una scorta di Camel senza filtro e privi di biglietto. I viaggio mi sembrò lunghissimo, strade statali dalle curve morbide immerse nel verde, il Ring dal traffico impazzito, e altre provinciali sinuose. Trovammo il New Theatre. Facile, in realtà.
***
Le luci si spengono, e sul palco sale una band di cui non ricordo nulla se non il nome: Interview. Scivolano via come l'acqua sul marmo, il loro rock banale non lascia traccia, così spariscono dalla memoria esattamente come succederà quattro mesi più tardi con gli Yatch, band di spalla al concerto di PG a Ginevra. C'è solo l'attesa e l'impazienza.
Finito il rito del riscaldamento - si fa per dire - il New Theatre precipita nuovamente nel buio. Si leva il sipario nero per svelare una scenografia improvvisata. A destra quattro o cinque televisori accessi e fuori sintonia che diffondono i tremori nervosi delle onde in bianco e nero. Al centro c'è una grande scala quasi una piramide spilungona. A sinistra una serie irregolari di lampade spunta dal nulla. Tutto è pronto.
Cominciano le note di una musica che mi ricorda "Incontri ravvicinati del terzo tipo", sequenze di accordi solenni e intriganti (è un brano di Larry Fast, "On presuming to be modern") che sottolineano la tensione dell'attimo. Per un po' non vedi PG, scruti il palco e trovi il vuoto. Lui e gli altri musicisti ti spuntano alle spalle con un faretto in mano, avanzano fra le poltrone in un crescente boato. Quando finalmente guadagnando il palco, PG s'inerpica sulla cima della scala, mentre la band prende con calma il suo posto fra ampli e microfoni. Jerry Marotta (batteria), Sid McGuinnes (chitarra), Tony Levin (Basso e stick), Timmy Capello (sax e piano), Larrry Fast (tastiere). I movimenti sono tranquilli. E' la quiete prima della tempesta.
Il synth di On the Air parte in ritardo, lo stesso ritardo con cui mi accorgo che Pg ha i capelli tagliati a spazzola. E' vestito di bianco e indossa un pettorale arancione da operaio dell'Anas inglese. Ha un paio di guanti da giardinaggio. Quando entra la batteria, scivola lungo la scala a peso morto, si sfila il radiomicrofono dalla tasca e comincia a saltare come un diavoletto. Marotta pesta duro. McGuinnes è imbizzarrito in stile Steve Hunter. Levin è ruvido e incalzante. L'impatto è violento, solido. Il volume è alto, anche se l'acustica lascia a desiderare. La band non ha dubbi. Esegue con vigore il brano che apre PG II. Quando si abbassano le luci, tutti hanno chiaro che Mozo si aggira da quelle parti...
Applauso rapido ma fragoroso. Scatta Moribund the Burgermeister senza sbavature. Con Animal Magic i decibel crescono per poi arrendersi ad un al lungo intro di Mr. Sinergy che inaugura Flotsam and Jetsam; la batteria sembra una cassa di legno, la chitarra hawaiana è esasperata, ma lo struggente assolo di sax finale vale da solo la serata, come del resto anche White Shadow presentata senza soluzione di continuità.
PG parla poco, me lo ricordavo più chiacchierone. Presenta Have a Wonderful Day, forse il mio brano preferito del secondo album. Sono felice e caccio un urlo quando riconosco l'uomo del Jfk che sfila nel primo verso di Humdrum. Finale grandioso. Pg s'inchina. Levin si tuffa in un riff di stick lievemente ossessivo. E' I don't remember, che la band esegue per la prima volta e che resterà inedita per un paio d'anni. A tratti ho l'impressione che inventi le parole, il che è tipico di PG, lento e sempre in ritardo con i testi.
Home Sweet Home riporta la calma, c'è molto sax e - con senno di poi - oggi penso che sembra più un brano di Phil Collins che di PG: la differenza è tutta nella voce. Ecco una canzone sul tema dello "spiritual and practical self improvement: Diy". Il ritmo è cadenzato, è già diversa dall'album. PG soffre di insicurezza, non sa mai quale sia veramente la versione definitiva di una sua canzone. La Diy che propone dal vero è quella che uscirà sul singolo. Per superare il sound del disco ha impiegato poche settimane.
E' il momento della sorpresa. Fra le risate del pubblico, gli uomini-in-bianco eseguono una Whiter Shade of Pale versione punk. Il lentaccio classico dei Procul Harum viene violentato da chitarra e batteria imbizzarrite, PG fa il verso a Johnny Rotten e sputa in ogni direzione. Il pubblico viene investitito da una valanga di watt ma non ha niente da ridire. Siamo nel 1978. E se fosse questa sera in cui il Punk è morto schiacciato da uno sberleffo?
Dopo il pugno, la carezza. Here Comes the Flood tocca nel profondo, l'assolo di sax scuote e culla. Solo voce e piano, poco altro. Arriva Slowburn, ancora violenta, schitarrate a go-go, non sempre impeccabili. Si capisce che c'è bisogno di rodaggio. Pare di andare sull'ottovolante. Mother of Violence riporta sulla terra, per tre minuti di riflessione, prima della gioiosa danza di Solsbury Hill, in cui PG scende in platea a stringere tutte le mani che riesce.
Il finale è al fulmicotone. Mettete una dietro l'altra Modern Love, Perspective, Down the Dolce Vita e The Lamb Lies Down on Broadway e provate a vedere che effetto. PG non si risparmia e la gente è in delirio. "Se volete sapere cos'è la new wave, non andate a cercare più lontano di Peter Gabriel" scriverà un recensore qualche giorno dopo. Dall'alto della Balconata, posto c4 (due pounds e 50), mi godo il sacro fuoco di Rael in giubbotto di pelle. Qualcosa è cambiato rispetto ai giorni dei Genesis, il nostro eroe portoricano sembra aver tolto il freno, ora è veramente disposto a tutto, come lo è il nuovo PG. L'intento è diventato quello di provare e stupire, battere le remore e andare oltre. Cosa che si sarebbe ripetuta nei mesi successivi per succedere. Fantastico.
***
Penny guida sicura, distingue bene il nero dal bianco nel mezzo della notte. E' quasi l'alba quando arriviamo a Eastbourne e dividiamo l'ultima Camel senza filtro. L'ora si spiega con una visita ad un fast food e un incontro fugace con la band all'uscita del teatro, quattro parole e un pettorale arancione in regalo. Il corpetto ha salutato tutte le luci sulla via del ritorno brillando nel retro della mini caffellatte. "Every morning I'm out at dawn with dwarfs and tramps" canta PG all'inizio di On The Air". In quella mattina del giorno che seguì la notte del ritorno di Mozo l'Inatteso vidi per strada un nano e un vagabondo. Andavano verso il mare. Pensai che fosse un segno e, in capo a un pugno di minuti, mi addormentai tranquillo nel mio piccolo letto inglese.