Innanzitutto prima di parlare dell'album in questione vi volevo segnalare questa bell'intervista a Bruce Dickinson di qualche settimana fa. Si parla di prog e pure di Genesis (non stupisce il fatto che Dickinson dica che il piú genesisiano dei due sia Steve Harris mentre lui sia piú un fan del Gabriel solista
) e della passione di Bruce per i VDGG (Peter Hammil lo ha notevolmente ispirato a livello di testi)
https://loudwire.com/bruce-dickinson-ir ... interview/Dunque Senjutsu. Avevo scritto nell'altro topic che mi aspettavo un album simile al precedente e molto piú prog di quanto I primi 2 estratti lasciassero intendere. Beh, si può dire sostanzialmente che é cosí. I due pezzi usciti nelle settimane precedenti rientrano nella categoria dei meno complessi del lotto, fungendo da traino per un album molto piú sfaccettato.
Lo si capisce già dalla title track,
"Senjutsu" , che si apre con suoni orientaleggianti sorretti da una prova poderosa del vecchio Nicko, sempre in primo piano, a dettare i tempi. I riff delle chitarre sono secchi ma sempre gradevolissimi. Il pezzo non é molto mutevole ma non stanca nei suoi 8 minuti e piú di durata. Ottima partenza.
I due brani successivi sono i due estratti già fatti circolare in rete in precedenza. Delle due preferisco
"Writing on the wall", con le sue schitarrate furiose nel finale e la bella prova di Nicko, mentre
"Stratego" é un pezzo molto molto gradevole e immediato. Quelli che ti si stampano in testa proprio perché di facile fruizione ma che non sono da annoverare di certo tra i classici o tra i pezzi forti di un album.
"Lost in a lost world" é difficile da etichettare. Tra i piú lunghi e progressivi dell'album ma anche tra i meno compatti musicalmente. Si apre e si chiude in maniera melodica, con un bel cantato di Bruce (bravissimo soprattutto nel finale).
La parte centrale invece lascia piú perplessi. Riff e assoli si alternano ma non viene mai meno il senso di già sentito, piú del solito. A tratti siamo dalle parti dell'autoplagio. Peccato perché con qualche sforbiciata qua e là parlavamo d'altro. Pezzo insomma che alterna alti e bassi.
‘’Days Of Future Past’’ segue la scia delle canzoni piú immediate dell'album, con un riffaccione molto anni '80 e un andamento che piú classico non si può. Nulla per cui stracciarsi le vesti, forse il pezzo meno interessante in assoluto dei due dischi.
Per fortuna ci pensa il brano finale a risollevare le sorti di questa prima metà dell' album. Un pezzo davvero magnifico e riuscito.
"The time machine" ha davvero tutti gli ingredienti per poter piacere: un Dickinson evocativo, riff veloci, ma non troppo, una sezione centrale "alla maiden" in crescendo che gasa non poco. Non siamo di fronte al meglio del meglio dell'album (quello arriverà dopo) ma siamo di fronte ad uno dei pezzi piú riusciti.
Seconda parte dell'album che si apre a sorpresa. Nonostante il titolo
"The darkest hour" possa far pensare ad un brano pesante e oscuro si tratta in realtà di una semi-ballad con tanto di onde del mare e gabbiani nei secondi iniziali. Bruce qui risalta particolarmente grazie al suo cantato sofferto. La cosa migliore del pezzo sono però gli assoli di chitarra della seconda parte, molto melodici ed evocativi, tra i migliori da molti anni a questa parte.
L'album getta adesso sul tavolo le carte piú pesanti. Un trio di pezzi di lunga durata e pieni di cambi di tempo. Il primo,
“Death Of The Celts”, richiama alla mente The Clansman (uno dei pezzi migliori del periodo senza Dickinson). Insomma epico che piú epico non si può. Per buona parte strumentale (Dickinson compare solo nei primi minuti e per breve tempo bel finale) e per gran parte sembra una battaglia tra i 3 chitarristi per prendersi la scena. Saranno le tastiere che danno un'aria progressiva al tutto ma ad un certo punto ci sento pure piccolissimi accenni a Thick as a brick (piccolissimi eh)
verso i 6 minuti e 30 di durata.
Niente male insomma. Pezzo poco originale ma molto ben ideato.
Il meglio però Senjutsu però ce lo riserva nei 2 brani finali.
“The Parchment” é un tour del force (quasi 13 minuti di durata) che ancora una volta si affida ad atmosfere orientaleggianti. Stavolta il pezzo é molto piú potente, massiccio, eppure le tastiere donano comunque una certa melodicità al tutto. A sessant'anni suonati i Maiden riescono ancora a suonare "pesanti" se vogliono. Certo non siamo di fronte alla nuova "Ryme of the ancient mariner" ma non si sfigura davanti agli inni piú epici della loro produzione.
Si chiude con il pezzo piú melodico del trittico finale e forse pure quello piú riuscito.
"Hell on earth" Col suo incedere galoppante chiude in bellezza il disco, con le sue chitarre scorrevolissime, le tastiere che dipingono scenari a tratti sognanti, a tratti misteriosi, a tratti disperati. Dickinson qui é al suo meglio e in definitiva i saliscendi continui faranno felici coloro che amano il lato piú epico e progressivo del gruppo.
In sintesi un album che può sembrare simile al suo predecessore ma che appare anche piú rifinito, con una struttura piú compatta. Primo disco piú accessibile con una sola eccezione e secondo disco molto piú complesso, con una sola eccezione.
Pur non avendo una Empire of the clouds mi azzardo a dire che la qualità é superiore a quella del disco precedente che soffriva maggiormente di alti e bassi, anche se gli alti forse erano piú alti.
Niente per cui impazzire (l'originalità é sempre piú difficile da pretendere) ma non so cosa si possa chiedere di piú ad un gruppo che ha passato di gran lunga la sessantina (Nicko tra qualche mese ne fa 70, eh già)