Dopo aver ascoltato numerose volte la nuova fatica di Steve, mi sento finalmente pronto a stendere qualche appunto che spero contribuisca a far apprezzare maggiormente alcuni dettagli dell'opera e magari - chissà - ad incrementarne un po' anche le vendite.
Inizio col dire che l'edizione speciale limitata in doppio 33 giri è veramente stupenda, con un effetto nero/trasparente "esploso" di grandissimo effetto soprattutto in controluce. I lati incisi sono i primi tre; il quarto lato - come di recente si usa fare con incisioni lunghe ma non lunghissime - non contiene solchi di musica bensì una decorazione in bassorilievo (
etched in gergo collezionistico) che riprende il fulmine e l'uomo della grafica di copertina, più una frase tratta dalla liriche. È molto difficile fotografare questa decorazione a causa dei riflessi, comunque spero che le immagini pubblicate in calce ne diano una vaga idea.
Graficamente il disco è in piena continuità con le recenti pubblicazioni di Steve: fotografie dei coniugi Vicedomini, stesso font di caratteri eccetera; credo quindi debbano essere considerate un
unicum di questa sua fase artistica e di vita. L'incisione (nel senso del
pressing), che mi aveva fatto storcere il naso nelle ultime pubblicazioni, questa volta è davvero molto buona se non ottima: silenziosa, con pochissima (direi nessuna) distorsione fino agli ultimi solchi, e con un equilibrio timbrico in gamma acuta finalmente ben bilanciato. Abbastanza buona anche l'immagine stereofonica.
LATO ICredo che purtroppo nella traccia d'apertura sia inciso il canto del cigno di Gary O'Toole: non mi sono chiare le ragioni per cui per sua stessa decisione si sia risolto ad interrompere la sua carriera al fianco di Steve, ma solitamente da decisioni di questo tipo non è facile tornare indietro. A molti il suo stile non piaceva ma per me rimaneva sempre il batterista del tanto desiderato ritorno di Steve al rock elettrico, e per questo oltre che per la sua disponibilità e simpatia lo ricorderò sempre con grande affetto. Arrivederci Gary!
1 - Fallen Walls and Pedestals - Il disco si apre con uno strumentale che presenta le ormai usuali sfumature mediorientali, a cui Steve ci ha abituati in anni recenti. Se però inizialmente il brano sembra solo un pretesto per anticipare qualche tema e l'atmosfera complessiva del disco, a un minuto circa parte un meraviglioso assolo cantabile di Steve (intervallato da un'ulteriore divagazione mediorientale) che non esito a collocare tra quanto di meglio mai fatto da lui. A 1' 53'' Steve ripropone magistralmente la tecnica del colpo alla leva vibrato lasciata libera di oscillare, che aveva già introdotto in The Night Siren; ignoro se sia una sua innovazione (forse no) ma ancora una volta Steve riesce a portare una tecnica fredda e meccanica a livelli di lirismo sublimi; non so se chi legge queste parole riesca a cogliere il passaggio, ma per chi scrive è da sindrome di Stendhal.
Voto: 10 e lode. 2 - Beasts in Our Time - Dopo un'apertura orchestrale gotica (e se vogliamo non indispensabile) parte un bel cantato di Steve accompagnato dalla chitarra folk. È curioso che un tempo lento come questo sia stato collocato a inizio disco, personalmente l'avrei visto molto meglio in chiusura del primo lato per alcune ragioni sulle quali tornerò. La mente comunque vola a Love Song to a Vampyre, anche se naturalmente note e armonie sono completamente diverse. A due minuti circa, un
revival che aspettavo dagli anni '80: finalmente un assolo di sassofono come dio comanda, vale a dire un vero assolo di sax tenore, naturalmente a firma Rob Townsend che per una volta chiude nel cassetto lo strasentito sax soprano. L'esperimento felicissimo dura pur troppo poco; mi auguro che Steve ci prenda gusto e riproponga qualcosa di più elaborato nel prossimo disco. Immediatamente dopo segue uno dei rari passaggi in cui il lavoro al flauto di John Hackett è distintamente ascoltabile. Oltre, Steve riprende meravigliosamente alla chitarra elettrica l'assolo di sax, poi il brano devia verso una delle classiche "tirate alla Steve Hackett" in stile quasi metal (congruo il parallelo con Air Conditionate Nightmare).
Voto: 9 soprattutto per l'idea dell'assolo di sax.
3 – Under the Eye of the Sun – Come già anticipato, avrei visto molto meglio questa canzone in apertura di disco; ma per qualche strana ragione è invece collocata esattamente all'opposto: in chiusura del primo lato. L'atmosfera, abbastanza tipica dei recenti lavori di Steve, fa pensare alla West Coast grazie ai bei cori di voci miste su un ritmo brillante al quale contribuiscono le percussioni di Gulli Briem ed un notevole lavorìo di basso elettrico firmato Jonas Reingold. Dopo un atmosferico ponte etnico di didgeridoo e duduk (Paul Stilwell e ovviamente Rob Townsend, affiancati in conclusione da alcune note di flauto di John) il brano riparte con un bell'assolo di Steve ben supportato dal basso di Reingold che si prende licenza d'uscire a sua volta dalle righe. Chiusura con archi incalzanti e un lunghissimo colpo d'orchestra riverberato.
Voto: 9.LATO II4 – Underground Railroad – Dò per scontato che l'armonica che apre la canzone sia suonata da Steve: sappiamo da lungo tempo che si diletta con questo strumento, sebbene sia distante dal suo genere musicale d'elezione. Il brano acquista quasi subito sonorità gospel, suppongo per via della collaborazione con Durga e Lorelei McBroom (già coriste dei Pink Floyd) che sono accreditate su questa traccia. Si rimane negli Stati Uniti col successivo accompagnamento teso di steel guitar (almeno credo) e in sostanza ci sono tutti gli ingredienti necessari affinché questo brano non mi piaccia: mi ricorda il
pastiche di Please Don't Touch, forse è un limite mio. Comunque l'assolo di Steve e il coro che portano la canzone verso direzioni nuove nel finale sono piacevoli e ne sollevano le sorti.
Voto: 7.5 – Those Golden Wings – Una non strettamente necessaria apertura cameristica lascia rapidamente spazio a un arpeggio di chitarra folk appoggiata più avanti da note di Hammond che rinverdiscono nostalgie genesisiane. Alla batteria troviamo il nostro vecchio amico Nick D'Virgilio, che per ora si rilassa su un solido 4/4 ben squadrato. Verso 3' 15'' Steve presenta per la prima volta, ottimamente appoggiato da D'Virgilio, un semplice ma bellissimo obbligato di chitarra elettrica pulita, che come vedremo tornerà successivamente in veste di tema. Seguono alcune incursioni orchestrali, e si ascolta il coro lirico sintetico programmato da Roger King. Come già discusso in passato, si tratta di campionamenti di vocalizzi e sillabe che è possibile porre in sequenza ed intonare, fino a far pronunciare al coro intere frasi cantate. Non ho idea di quanto sia difficile impostare queste programmazioni, ma devo dire che King lo sa fare veramente bene e il risultato è possente e realistico. Steve ripropone per la seconda volta il tema, appoggiato da un bel lavoro di basso elettrico, forse a sua volta suonato da Steve poiché nessun altro musicista sembra essere accreditato a questo strumento. Dopo un intermezzo di chitarra classica (che mi offre lo spunto per commentare come questo strumento non abbia la collocazione di rilievo che spesso Steve aveva ad esso riservato nei suoi lavori recenti) torna il coro su liriche in latino: forse quanto di più progressìvo ed elitario si sia mai visto! Nonostante Steve si prodighi in ringraziamenti alla persona che ha curato la traduzione, il cui nome taceremo per pudore, qualcosa è andato storto (magari anche solo in tipografia) e il risultato è un latino maccheronico da liceale pluriripetente - e dire che se solo Steve mi avesse chiesto, gli avrei sfornato delle liriche coi fiocchi!
La meravigliosa coda di questa lunga e articolata canzone è una fuga di matrice organistica: dopo un breve silenzio Steve ripresenta per la terza ed ultima volta il tema, questa volta con la chitarra elettrica distorta, poi lo riprende numerose volte con variazioni di lirismo stellare ed ariose escursioni improvvisate. Ringrazio il cielo che abbia avuto il senno di farsi affiancare dalle vere percussioni di Nick D'Virgilio. Nota di merito anche per l’ineffabile suonatore di basso elettrico, che ben sottolinea e armonizza i passaggi più articolati. Come usava scrivere mia madre quando un'opera d'arte veramente meritava, il risultato è bello da piangere. Siamo di nuovo ai vertici di quanto mai fatto da Steve Hackett.
Voto: 10 e lode.6 – Shadow and Flame – Tornano sonorità esotiche e mediorientali sul cantato di Steve, che cedono presto il passo ad un 4/4 ricco di sincopi su cui ben si inserisce il concitato ma non noioso sitar di Sheem Mukherjee. Di nuovo ci sarebbero tutti gli ingredienti affinché questo brano non mi piaccia, e invece devo dire che è accattivante. Notevole il lavoro di programmazione di Roger King alla batteria sintetica: sarebbe stato preferibile un batterista in carne ed ossa, ma comunque le percussioni reggono.
Voto: 8.LATO III7 – Hungry Years – Il terzo lato si apre con un bel ritmo sciolto (ma attenzione: al seggiolino della batteria siede il grande Simon Phillips!) che si inserisce in un classico filone più volte esplorato da Steve. La cosa curiosa del cantato è che i cori, realizzati con un massiccio uso dell’harmonizer, sono passati attraverso un tremolo. Il tremolo però resta costantemente inserito anche nelle brevi parti cantate dal solo Steve, generando un curioso effetto ondulato che caratterizza tutta questa prima parte. Nelle risposte ai cori si riascolta con piacere la bella voce di Amanda Lehmann, che con mio rincrescimento ha un po' (tanto) sacrificato la sua carriera di musicista alla famiglia. Fin qui il brano ha veleggiato tranquillo su un onesto sette pieno, ma quando ormai si crede di sapere dove si stia andando a parare, ecco che a 3' 00'' netti la chiave cambia radicalmente per lanciare un bellissimo assolo di Steve, con qualche incursione tastieristica di Benedict Fenner e nuovamente un lavorìo di Jonas Reingold al basso elettrico sul quale merita spostare l'attenzione, mentre Simon Phillips ci riporta per risonanza al migliore Mike Oldfield. Torna infine un bellissimo coro misto, nuovamente con la voce di Amanda sugli scudi, facendo impennare ad un
Voto: 9 il giudizio sul brano. Come nota a margine, non riesco a non pensare che gli "Hungry Years" delle liriche siano una metafora più o meno conscia degli anni trascorsi con Kim Poor; forse non per caso questa è l’unica traccia cantata del disco che non veda Jo Lehmann in veste di co-autrice. Chissà. La verità la conosce solo Steve, e forse nemmeno lui.
8 – Descent 9 – Conflict – Si tratta di due brani strumentali strettamente interconnessi. Descent è un bolero in crescendo, marzialmente scandito da una batteria programmata. Conflict, nuovamente sulla falsariga di Air Conditioned Nightmare, lascia più spazio ad incursioni di mellotron e a virtuose divagazioni chitarristiche di Steve. Complessivamente siamo in pieno ambito progressìvo, ma ai due brani manca un po' di nerbo e soprattutto a mio parere manca un vero punto focale, un culmine che li renda veramente memorabili.
Voto: 7.10 – Peace – Tematicamente legata alla coppia di brani precedenti, ma ascoltabile anche come traccia a sé stante, la canzone si apre su un pastorale cantato di Steve accompagnato dal pianoforte. Torna il coro lirico sintetico con alcuni brevi fraseggi. Poi la canzone veleggia più alta con un repentino cambio di chiave a 1' 17''. Il notevole cantato di Steve è ripreso dal trio misto Hackett-King-Lehmann, non solo su liriche ma anche su vocalizzi di grande effetto corale. A 2' 33'' nuovamente una fuga di Steve seppure molto breve: presenta un tema, lo ripropone variato, poi passa di nuovo la mano al bellissimo coro misto che "disturba" con qualche sua incursione chitarristica che si chiude con una lunga nota sostenuta. Dopo un ulteriore assolo su una chiave completamente diversa che riprende la matrice mediorientale già ascoltata in altri brani dell’album, la chitarra si spegne suggestivamente in lunghi riverberi ed il disco si conclude con un crescendo-calando di sintetizzatori.
Voto: 9, soprattutto per le parti corali e per l'idea della mini-fuga.
Credo sia evidente dai voti assegnati che ritengo questo disco uno dei migliori lavori di Steve, non solo in tempi recenti ma anche in assoluto. Non ho la pretesa che questo mio giudizio sia condiviso, dirò solo che Steve – magari per coincidenza - ha concentrato in questi solchi quanto a me più piace della sua arte compositiva e della sua tecnica chitarristica. Mi è piaciuto soprattutto come ha elaborato il materiale: ci sono, è vero, 2-3 temi "buttati lì" che potevano esser plasmati con maggior sapienza, ma in generale le idee più consistenti sono state molto molto ben elaborate e contrappuntate.
Se proprio devo trovare un difetto, ma è un difetto comune a quasi tutte le pubblicazioni da quando esiste il CD, ed è un tema su cui qui ho scritto innumerevoli volte a rischio di ripetermi, è la lunghezza. Togliendo i due brani a cui è stato attribuito il voto minore e potando alcune introduzioni e code non dico inutili ma sicuramente non essenziali, il disco sarebbe potuto durare senza difficoltà alcuna i canonici 45 minuti che anche Mozart aveva individuato come durata aurea massima; a quel punto il materiale registrato sarebbe stato collocabile sui due lati tradizionali di un unico 33 giri, e sarebbero stati due lati integralmente composti di musica eccelsa senza alcun calo di qualità o tensione. Tuttavia ignoro se tra la clausole contrattuali di Steve sia incluso anche il minutaggio che ciascuna sua pubblicazione deve rispettare; probabilmente sì. E se questo è il patto grazie al quale Steve può vivere facendo della sua arte una professione, ebbene sorvoleremo senza troppi sofismi su qualche minuto in eccesso, anche perché si tratta in ogni caso di musica di alta qualità.
Bravissimo Steve! Avanti tutta!!!