Marillion - An Hour Before It's Dark
Posted: 06 Mar 2022, 13:04
Rieccoli, finalmente. Cominciavano ad essere un po' troppi gli anni di assenza dalle scene, una cosa non da loro. Si ripresentano con questo An Hour Before It's Dark che li riconferma alfieri di un prog "emozionale" e cinematrografico, diversissimo da quello degli esordi (dove furono tacciati, a torto, di essere dei meri plagiatori dei nostri). Per loro infatti l'abbandono del primo frontman e la virata verso un pop-rock piuttosto canonico non coincise con il successo planetario. Anzi, finirono in pratica per arenarsi.
Poi però, all'improvviso, con un colpo di coda ripresero a fare prog, un prog più minimalista, affine per certi versi agli ultimi Talk Talk, ma senza rinunciare mai ad un certo gusto melodico. Il resto è storia recente.
Questo ultimo lavoro si può considerare affine per certi versi al precedente F.E.A.R., sia per approccio che per struttura. Se quello, per tematiche, risultava più "politico", questo pur affrontando tematiche sociali si concentra su riflessioni che hanno a che fare con l'ambiente, il rapporto con la Terra e con il virus.
Anche la struttura, come detto, è piuttosto simile: 4 suites (li 3), divise in frammenti più piccoli, che si alternano ad un paio di brani a se stanti. In pratica un semi-concept molto evocativo e d'atmosfera.
Basta ascoltare i primi secondi di Be Hard On Yourself per capire che ascolteremo ancora una volta grande musica. Tastiere e chitarre si intrecciano cullandoci, accompagnate dalla voce di Steve Hogarth, unica come al solito, tra momenti in cui sfiora il sussurro ed altri nei quali si incattivisce.
Reprogram The Gene adotta un approccio più diretto (ed in effetti è la suite più breve), elettronico, con sonorità che si fanno più dure. Non mancano momenti più tipicamente marillioniani con Steve Rothery che comincia a prendere le misure offrendoci un lavoro pregevole alla chitarra elettrica.
Le altre due suites rincarano la dose e sono i 2 pezzi più prog in assoluto dell'album.
Sierra Leone è accostabile a canzoni come Montreal, Gaza...Pezzi che ci conducono in posti remoti, raccontandoci storie di persone che lottano, vanno alla ricerca di qualcosa o di se stessi. In questo caso le atmosfere notturne e cinematografiche del brano ci narrano di un minatore che, scoprendo, un grosso diamante, si dibatte tra dilemmi morali e si interroga sulle contraddizioni di una Terra sfruttata e piena di sangue versato. Sembra quasi di essere lì.
Meravigliosa.
Lo stesso fa Care, che già dal titolo ci fa capire che la tematica affrontata è proprio il rapporto che abbiamo avuto negli ultimi 2 anni con la pandemia. Un pezzo nel quale si alternano rabbia (l'inizio rockeggiante e misterioso), paura, ma anche speranza. Ascoltare ad esempio la bellissima parte finale, un omaggio a tutti coloro che si sono sacrificati per salvare delle vite. E' qui che Steve Rothery ci mostra perché è uno dei chitarristi prog dotati di maggior gusto e bravura nella scelta dei suoni. Nessun virtuosismo ma soltanto poche note scelte con cura capaci di arrivare al cuore. Una lezione che per certi versi ricorda quella di Steve Hackett.
I due pezzi non divisi in più parti sono piuttosto diversi tra loro. Se Murder Machines affronta anch'essa la tematica del COVID, da un punto di vista più diretto (e più diretta è anche musicalmente), The Crow And The Nightingale, ispirata da Leonard Cohen è un pezzo notturno, jazzato, delicato, di quelli nei quali Steve Hogarth può giocare sul suo registro vocale. Ma pure il testo ha grande poeticitá. Un piccolo gioiello.
In definitiva un nuovo centro. Un album da ascoltare e riascoltare con attenzione, per non perdersi nemmeno una sfumatura del viaggio sonoro offertoci da questi ormai instancabili ultrasessantenni. Ennesima conferma anche delle grandi capacitá di Steve Hogarth, artista maturo, consapevole, che da tempo ormai si è preso il gruppo dopo essere stato spernacchiato e riempito di sberleffi per anni come fosse un cantantucolo qualunque. Peggio, molto peggio di quello che è accaduto a Phil con i Genesis. E invece...
Scusate il papiro, avrei potuto scrivere molto molto di più e di musica in senso stretto ho parlato pure poco. Ma ci tenevo a sottolineare alcuni aspetti di un gruppo spesso molto poco considerato, che può essere a buon diritto invece considerato tra i grandissimi della musica prog in assoluto (il mio gruppo preferito dopo i Genesis)
Poi però, all'improvviso, con un colpo di coda ripresero a fare prog, un prog più minimalista, affine per certi versi agli ultimi Talk Talk, ma senza rinunciare mai ad un certo gusto melodico. Il resto è storia recente.
Questo ultimo lavoro si può considerare affine per certi versi al precedente F.E.A.R., sia per approccio che per struttura. Se quello, per tematiche, risultava più "politico", questo pur affrontando tematiche sociali si concentra su riflessioni che hanno a che fare con l'ambiente, il rapporto con la Terra e con il virus.
Anche la struttura, come detto, è piuttosto simile: 4 suites (li 3), divise in frammenti più piccoli, che si alternano ad un paio di brani a se stanti. In pratica un semi-concept molto evocativo e d'atmosfera.
Basta ascoltare i primi secondi di Be Hard On Yourself per capire che ascolteremo ancora una volta grande musica. Tastiere e chitarre si intrecciano cullandoci, accompagnate dalla voce di Steve Hogarth, unica come al solito, tra momenti in cui sfiora il sussurro ed altri nei quali si incattivisce.
Reprogram The Gene adotta un approccio più diretto (ed in effetti è la suite più breve), elettronico, con sonorità che si fanno più dure. Non mancano momenti più tipicamente marillioniani con Steve Rothery che comincia a prendere le misure offrendoci un lavoro pregevole alla chitarra elettrica.
Le altre due suites rincarano la dose e sono i 2 pezzi più prog in assoluto dell'album.
Sierra Leone è accostabile a canzoni come Montreal, Gaza...Pezzi che ci conducono in posti remoti, raccontandoci storie di persone che lottano, vanno alla ricerca di qualcosa o di se stessi. In questo caso le atmosfere notturne e cinematografiche del brano ci narrano di un minatore che, scoprendo, un grosso diamante, si dibatte tra dilemmi morali e si interroga sulle contraddizioni di una Terra sfruttata e piena di sangue versato. Sembra quasi di essere lì.
Meravigliosa.
Lo stesso fa Care, che già dal titolo ci fa capire che la tematica affrontata è proprio il rapporto che abbiamo avuto negli ultimi 2 anni con la pandemia. Un pezzo nel quale si alternano rabbia (l'inizio rockeggiante e misterioso), paura, ma anche speranza. Ascoltare ad esempio la bellissima parte finale, un omaggio a tutti coloro che si sono sacrificati per salvare delle vite. E' qui che Steve Rothery ci mostra perché è uno dei chitarristi prog dotati di maggior gusto e bravura nella scelta dei suoni. Nessun virtuosismo ma soltanto poche note scelte con cura capaci di arrivare al cuore. Una lezione che per certi versi ricorda quella di Steve Hackett.
I due pezzi non divisi in più parti sono piuttosto diversi tra loro. Se Murder Machines affronta anch'essa la tematica del COVID, da un punto di vista più diretto (e più diretta è anche musicalmente), The Crow And The Nightingale, ispirata da Leonard Cohen è un pezzo notturno, jazzato, delicato, di quelli nei quali Steve Hogarth può giocare sul suo registro vocale. Ma pure il testo ha grande poeticitá. Un piccolo gioiello.
In definitiva un nuovo centro. Un album da ascoltare e riascoltare con attenzione, per non perdersi nemmeno una sfumatura del viaggio sonoro offertoci da questi ormai instancabili ultrasessantenni. Ennesima conferma anche delle grandi capacitá di Steve Hogarth, artista maturo, consapevole, che da tempo ormai si è preso il gruppo dopo essere stato spernacchiato e riempito di sberleffi per anni come fosse un cantantucolo qualunque. Peggio, molto peggio di quello che è accaduto a Phil con i Genesis. E invece...
Scusate il papiro, avrei potuto scrivere molto molto di più e di musica in senso stretto ho parlato pure poco. Ma ci tenevo a sottolineare alcuni aspetti di un gruppo spesso molto poco considerato, che può essere a buon diritto invece considerato tra i grandissimi della musica prog in assoluto (il mio gruppo preferito dopo i Genesis)